Sylvia Day
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after burn aftershock sylvia day italy
Mar 11, 2014  •  Harlequin Mondadori  •  9788861834606

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Era un boccone amaro da mandare giù rendersi conto che il mio ex, Jax, ancora aveva un effetto così forte su di me. Aveva fat­to parte della mia vita per breve tempo due anni prima, avevo avuto altri due uomini dopo di lui, e pensavo di averla superata.

Stava osservando un espositore con i nostri bestseller di cucina quando svoltai l'angolo. Il suo corpo, alto e possente, ora era ben disegnato da un com­ple­to d'alta sartoria. Non lo avevo mai visto vestito tanto formalmente. Ci eravamo incontrati in un bar, tra tutti i posti esistenti. Ero uscita con alcune com­pagne di classe e lui stava partecipando a un addio al celibato.

Avrei dovuto saperlo che non sarebbe finita bene.

Ma, Dio, lui era magnifico. I suoi capelli scuri erano ta­gliati corti sui lati e dietro, leggermente più lunghi in ci­ma. I suoi occhi erano di un castano così scuro da essere quasi neri. Avevo davvero pensato che fossero caldi e gentili? Ero stata accecata da quella bocca lus­su­riosa, sensuale e dalla sua malefica fossetta. Non c'era nulla di gentile in Jackson Rutledge. Era un uomo ca­par­bio e annoiato, con una scorza dura.

Mi percorse dalla testa ai piedi con un'occhiata lenta, mentre mi ci avvici­na­vo.

Jax non aveva un "tipo". Amava tutte le donne. Mi dissi che avrei potuto essere chiunque e strappargli quello sguardo, ma sapevo che non era così. Il mio corpo si ri­cor­dava di lui.

“Salve, signor Rutledge” lo salutai formalmente, perché ancora non aveva mostrato di ricordarsi di me. “La signorina Yeung sarà qui tra un momento,” pro­se­guii. “L'accompagno alla sala conferenze.”

Mentre mi seguiva, percepivo il suo sguardo sulla mia schiena, il sedere, le gambe. Mi rendeva più che mai conscia della mia camminata, il che mi faceva sentire strana.

Non disse una parola, e io non osavo parlare. Mi sentivo terribilmente eccitata, avevo un desiderio quasi disperato di toccarlo. Era dif­fi­cile credere di averlo avuto nel mio letto. Di averlo avuto dentro di me. Dove avevo trovato tanto coraggio da in­trat­tenere una relazione con un uomo simile?

Mi sentii sollevata quando raggiungemmo la sala con­fe­renze, la maniglia della porta mi sembrò piacevolmente fresca quando la spinsi.

Il suo respiro mi accarezzò dolcemente l'orecchio. “Per quanto tempo ancora fingerai di non conoscermi, Gia?”

Spinsi la porta per aprirla ed entrai, restando con la mano sulla maniglia, così che non equivocasse pensando che sarei rimasta.

Mi venne incontro, rimanendo faccia a faccia di fronte a me. Era più alto di me di una spanna, anche se por­tavo i tac­chi. Aveva le mani in tasca, la testa piegata su di me. Invadeva il mio spazio personale, era troppo in­ti­mo, di gran lunga troppo familiare.

“Per favore, fa' un passo indietro,” dissi con tutta calma.

Lui si spostò, ma non nel modo in cui avrei voluto. La mano destra scivolò fuori dalla sua tasca e poi lungo il mio braccio, dal gomito al polso. Percepii il suo tocco at­tra­ver­so la seta della mia camicetta blu navy.

“Sei cambiata così tanto,” mormorò.

“Certo. Abbastanza perché tu non mi abbia riconosciuta prima.”

“Cristo. Pensi che non sapessi che eri tu?” Si voltò, ma questo non indebolì il suo impatto. Visto di spalle era splendido tanto quanto di fronte. “Ti riconoscerei a occhi chiusi, Gia.”

Fui colta di sorpresa. Eravamo passati dall'essere distanti e formali a in­timi e roventi nel tempo di un battito di ciglia. “Che cosa ci fai qui, Jax?”

Lui raggiunse le finestre e guardò New York. “Offrirò a Lei Yeung qualsiasi cosa voglia perché vada a rom­pere le uova nel paniere a qualcun altro.”

“Non funzionerà. È una questione personale.”

“Gli affari non dovrebbero mai essere una questione personale.”

“Niente è personale, giusto?” dissi ricordando come si fosse semplicemente dimenticato di farsi vedere un giorno. E ogni giorno dopo di quello.

“Le cose tra noi lo erano” disse, la voce profonda e roca. “Una volta.”

“No, non lo erano.” Non per te...

Si voltò bruscamente, facendomi fare un altro cauto passo indietro, anche se c'era un'intera stanza tra noi. “Allora non ci sono risentimenti. Bene. Non c'è ragione per cui non riprendiamo da dove avevamo smesso. Quando avrò finito, possiamo andare nella mia stanza d'albergo e rifare a­mi­ci­zia.”

“Vaffanculo!” esclamai.

La sua bocca si incurvò e rivelò una deliziosa fossetta. Oh, quanto lo rendeva diverso questo, sapeva nascondere la sua pericolosità con un tocco di fascino da ragazzino. Odiavo quella fossetta giocosa tanto quanto la adoravo.

“Eccoti qua,” disse, con un'inconfondibile nota di trion­fo. “Per poco non mi ingannavi facendomi credere che la Gia che conoscevo se ne fosse andata.”

“Non giocare con me, Jax. È così al di sotto delle tue ca­pacità.”

“Ciò che voglio di sotto sei tu.”

Sapevo che l'avrebbe detto, se avessi aperto quello spiraglio, ma avevo dovuto sentirlo. Dovevo sentirglielo dire. Era diretto, per quanto riguardava il sesso, erotico e sensuale come un animale. Adoravo quella caratteristica, perché an­ch'io ero stata così per lui.

Avida. Insaziabile. Niente mi aveva mai fatto sentire meglio.

“Salve, signor Rutledge,” disse Lei entrando pla­teal­men­te sui suoi vertiginosi sandali Jimmy Choo. “Darò per scontato che questa sia una piacevole sorpresa.”

“Può essere.” Jax le rivolse completamente la sua at­ten­zione, tanto che mi sentii congedata.

“Allora vi lascio,” dissi uscendo. Lo sguardo di Lei colse il mio e compresi il suo messaggio silenzioso: presto a­vremmo dovuto parlare.

Non guardai più Jax, ma ebbi l'impressione che mi mandasse lo stesso messaggio.

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